Il fascino di una meravigliosa regione: Calabria miti e leggende

Miti e sacralità nella Calabria greca

La cosiddetta Testa di Basilea, Museo Nazionale della Magna Grecia, Reggio CalabriaCon il nome “Magna Grecia” si identificano le città greche presenti nell’Italia meridionale partendo da Taranto fino ad arrivare a Reggio, presso la costa ionica e proseguendo verso tutto il Tirreno fino alla città di Cuma, sulla base di quello che testimonia Polibio nelle Storie. Nonostante tale denominazione compare in tempi tardi si suppone che possa risalire ad età molto più antiche, teoricamente addirittura al VI secolo, periodo di grande splendore per la “Grande Grecia” sia da un punto di vista economico che culturale.

Anche Pitagora conferma il periodo di grande sviluppo dell’Italia meridionale nella realtà greca, lo studioso infatti arrivò a Crotone nel VI secolo presso l’amico Senofante, periodo in cui visitò molte città italiote. Numerose testimonianze attestano i proficui rapporti culturali e commerciali stabiliti con le città della costa ionica dell’Asia; si ritiene infatti che il termine Magna Grecia nacque proprio presso la costa ionica nel VI secolo, periodo in cui l’Italia sotto il controllo greco aveva un’importanza maggiore agli occhi degli Ioni sia per tali relazioni commerciali sia per l’ingresso dei Persiani che la rendeva una seconda casa presso la quale rifugiarsi.

In base agli studi di alcuni esperti il termine Megale Hellàs magna non è inteso con un valore comparativo “più piccolo” ma nasconde significati strettamente religiosi. Quindi il riferimento è a una Grecia sacra in relazione a divinità ctonie e a culti misterici. A partire dai racconti di autori antichi e dall’attenta analisi dei resti archeologici quali templi, zone sacre o ex voto è possibile venire a conoscenza di molti aspetti artistici e sociali dell’attraente società Magno Greca della Calabria.

Infatti lo studioso Paolo Orsi afferma, verso i primi anni del Novecento, periodo in cui studiava il tempio di Apollo Aleo, che il tempio non era solo un luogo di culto ma custodiva anche numerose e rilevanti opere d’arte. Infatti per la cultura greca l’arte e la religione erano due aspetti in sincrono poiché la dimore del dio doveva essere fastosa, ricca grazie al lavoro di illustri artisti, persino nel povero e agreste volgo esano presenti esternazioni di devozione anche se in misura decisamente inferiore. Infatti molte sono le testimonianze che attestano la devozione del mondo antico verso la dimensione sacra che ha molto spesso condizionato le vicende, non tollerando alcun tipo di violazione.

Un esempio lo ritroviamo nel racconto di Giustino che, nel periodo in cui i Sibariti, Metapontini e Crotoniani vollero espellere i Greci dall’Italia distruggendo la città di Siris. Durante tale assalto rimase ucciso il sacerdote della dea che era ricoperto da vesti sacre, inoltre cinquanta giovani che si rifugiarono presso la statua di Athena furono colpiti pesantemente da pestilenza, riuscirono a uscirne solo seguendo le disposizioni dell’oracolo. Inoltre si narra che la statua dell’oracolo fu talmente terrorizzata da questo cruento attacco che chiuse gli occhi.

Anche la stessa città di Sibari fu oggetto di drammatici episodi scatenati dalla profanazione di ambienti sacri. Infatti Eoliano testimonia che, durante la festa organizzata per la dea Hera si svolse una gara tra i suonatori di cetra che fece scatenare un’accanita discussione riguardo le capacità artistiche di un musicante. A causa dell’enorme spavento, il musicante trovò riparo presso il tempio della dea, ma nonostante ciò fu raggiunto dai suoi oppositori e ucciso a pugnalate proprio sull’altare sacro. A questo punto il pavimento del tempio si aprì facendo fuoriuscire un lago di sangue.

Per la paura di forti ripercussioni da parte degli dei, gli abitanti di Sibari convocarono un delegato per consultare l’oracolo che così rispose: “Stai lontano! Stai lontano dai miei tripodi! Il sangue, che ancor copioso dalle mani ti gronda, dalla marmorea soglia ti respinge. A te non è dato ch’io porga alcun responso: presso l’ara di Hera uccidesti il cantore delle Muse, e per questo non sfuggirai la vendetta dei Numi. Sui malvagi, fossero anche stirpe di Zeus, alla fine, giunge sempre, inevitabile, il castigo”.

Oltre alle fonti letterarie è anche possibile raccogliere informazioni preziose grazie alle testimonianze archeologiche non meno importanti, infatti risulta particolarmente interessante il ritrovamento di recenti testimonianze epigrafiche, artistiche, numismatiche, e architettoniche, che ci hanno permesso di recuperare preziose informazioni sia nel campo del sacro e profano sia su culti eroici. Un esempio è Euthymos di Locri, un eroe conosciuto grazie alla scoperta di un graffito ritrovato presso una tavoletta della Grotta Caruso ma anche grazie a un reperto rinvenuto presso il santuario a Campora San Giovanni.

Infatti si apprende dalle testimonianze di Strabone e Pausania che Ulisse, durante i suoi lunghi viaggi arrivò presso Temesa, quando uno dei suoi compagni fu lapidato a causa di violenze verso una vergine, lasciato insepolto dagli abitanti del posto. L’eroe assunse le sembianze di un demone rivestito da una nera pelle di lupo e diede il tormento agli abitanti della città fino a quando l’eroe Euthymos non lo sconfisse, liberando la città, l’eroina fu definita dall’oracolo la vergine più bella del luogo.

Sempre Strabone fa riferimento alla presenza di un tempio presso la città di Tèmesa edificato in onore dell’eroe Polite, uno degli amici di Ulisse. In seguito a recenti scavi archeologici presso Imbelli di Campora San Giovanni, luogo in cui da molti viene identificata l’antica città di Temesa, è stato portato alla luce un tempio datato verso il 580/470 a.C. La struttura è suddivisa in tre ambienti, come da tradizione achea e in seguito al rinvenimento di molti doni votivi, si pensa possa essere naos arcaico dove si praticava il culto dell’eroe Polite.